Pubblicato su politicadomani Num 89 - Marzo 2009

Intervista all’autrice del romanzo “L’amica bella”
L’universo femminile descritto da Stefania Squillante

Amiche, rivali, colleghe: sono loro, le donne, le protagoniste assolute del romanzo d’esordio di Stefania Squillante, “L’amica bella” (Ed. Cento Autori, 2008).
In una Napoli caotica e affollata, si animano le avventure a tinte forti dell’avvenente Fiorenza, mentre invano l’amica Sandra tenta di proteggerla dalla sua naturale vocazione a infilarsi in storie d’amore ad alto tasso di autolesionismo
Enzo Langellotti

Dopo una serie di prove nella saggistica e il positivo riscontro ottenuto da alcuni suoi racconti brevi apparsi in varie antologie, Stefania Squillante ha recentemente pubblicato il suo primo romanzo: “L’amica bella”.
Edito dall’intraprendente casa editrice Cento Autori, il libro ha inaugurato la nuova collana “Palpiti”, dedicata ai sentimenti, ai moti del cuore, verso cui la promettente scrittrice si è dimostrata particolarmente sensibile.

Come ti sei avvicinata alla scrittura e, in particolare, cosa ti ha spinto a tentare la strada del romanzo?
Credo che le origini profonde dell’amore per la scrittura risalgano alla mia infanzia e alle favole che mi raccontava mia nonna: erano veramente tante e accompagnavano molti momenti della mia giornata. Così, in sua assenza, incominciai a inventarne alcune da sola, mescolando fra loro elementi e personaggi presi da racconti diversi. In un certo senso, anche i miei giochi con la mitica Barbie (ne possedevo a decine e, ancora oggi, le colleziono) sono stati propedeutici al mio approdo alla scrittura: scrivere, in fondo, è come giocare con le bambole, si tratta di inventare storie. Pensando, poi, sempre a situazioni che si snodano in periodi piuttosto lunghi, il romanzo è divenuto naturalmente la mia “dimensione” ideale.

Nel tuo romanzo “L’amica bella” si parla soprattutto di rapporti - di amicizia, lavoro, familiari ecc... - tra donne. Dove nasce questo interesse così forte verso le relazioni femminili?
Anche in questo caso determinante è stata la mia infanzia. La mia famiglia d’origine, infatti, è fortemente matriarcale, non ho fratelli e purtroppo ho perso mio padre precocemente. Ma al di là delle mie vicende personali, sono convinta che le relazioni femminili siano spesso state trattate, in letteratura e nel cinema, con superficialità e/o imbarazzo, talvolta confinate al mondo familiare o saffico; mentre delle relazioni amicali al femminile, solitamente, si tende a mettere in evidenza la conflittualità. Ebbene nella mia vita ho potuto sperimentare quella straordinaria relazione che è la “sorellanza”: non mi riferisco al legame biologico, ma a un genere di solidarietà femminile di cui si parla poco e che, invece, è molto presente e ha salvato numerosissime donne nei periodi più bui della nostra storia. Sono così convinta di ciò che, perfino a mia sorella, ripeto spesso “noi ci vogliamo così bene non perché siamo sorelle ma perché siamo amiche”.

Leggendo il tuo libro emerge abbastanza nettamente che per te una bellezza perfetta e inarrivabile comporta soprattutto conseguenze negative. E non solo per chi la detiene ma anche per tutti coloro che ne vengono a contatto. A tuo parere c’è una difficoltà umana a rapportarsi al bello estetico?
Non vorrei che passasse il messaggio “bello” uguale “tragico”, che assolutamente non mi rappresenta. Nel mio romanzo questo binomio si sviluppa per la difficoltà della protagonista, Fiorenza la bella, a vivere la propria eccezionalità. Essa viene avvertita come una cosa estranea e ingombrante. Non direi assolutamente che è sempre così, non voglio lanciare messaggi generali e assoluti, piuttosto ad alcuni capita di ricevere dei grandi doni e di non saperli usare. Questi doni allontanano dalla gente comune e provocano solitudine. Uno dei miei maestri di vita mi ripeteva spesso “Non è facile essere il più bravo ma è meglio essere il più bravo”: ecco, questo credo sia un messaggio generalizzabile.

I maschi descritti nel tuo libro ne escono piuttosto male: superficiali, presuntuosi, bugiardi, meschini, violenti, in preda a ineludibili impulsi sessuali.
Non era mia intenzione, scrivendo questo romanzo, di bistrattare l’universo maschile: proprio per scongiurare tale pericolo ho dedicato il libro a mio marito. In realtà, non volevo parlare male dei maschi, ma soltanto non parlarne proprio. Per una volta metterli da parte. Del resto, non mi pare di aver tratteggiato un’immagine idilliaca delle donne...

 

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